Chi ha detto che i videogiochi sono solo roba da maschiacci? Ormai la percentuale delle giocatrici si sta innalzando notevolmente, anche in Italia. Il ruolo delle donne nel settore del gaming, invero, è sempre stato piuttosto centrale, soprattutto per quanto riguarda il contributo fornito a specifici team di sviluppo o comparti di marketing.
Oggi il mondo del gaming è molto vario e comprende anche le piattaforme digitali che offrono giochi di carte, bingo o roulette in diretta live, ma le donne che hanno scritto la storia delle attrazioni virtuali si sono concentrate quasi sempre sui videogame propriamente detti. Forse i nomi di alcuni di loro non suoneranno familiari ai più efferati appassionati videoludici, ma ciò non toglie importanza al loro lavoro. Una delle figure femminili più iconiche in questo contesto viene individuata indubbiamente in Joyce Weisbecker, figlia di un ingegnere elettronico che spesso e volentieri ha fatto da tester per i giochi creati dal padre. A partire dagli anni ‘70 la Weisbecker ha poi iniziato ad ideare di per sé dei giochi destinati alla console RCA Studio II, diventando a tutti gli effetti una sviluppatrice.
Diversa è la storia di Carol Shaw, che nel 1978 iniziò a lavorare per la Atari come programmatrice, venendo coinvolta da subito in progetti prestigiosi che volevano puntare a sfornare titoli di successo. Verso la metà degli anni ‘80 la Shaw si trasferì poi presso l’Activision, favorendo il lancio della nuova software house. Anche Roberta Williams si è trovata catapultata ben presto nel bel mezzo di una società di gaming, essendo lei stessa co-fondatrice di Sierra on-line. A lei è attribuita la programmazione di alcuni titoli di genere avventuroso come “King’s Quest” e “Space Quest”, dove spesso e volentieri le rappresentazioni grafiche andavano a supporto dei testi su schermo.
Le modalità multiplayer dei vari giochi sono invece figlie dell’intuizione di Danielle Bunten Berry, che nello specifico voleva abbattere le limitazioni dei giochi degli anni ‘70 che consentivano al massimo delle sfide 1 contro uno. Non a caso il suo “M.U.L.E.” dell’Electronic Arts viene ritenuto come il pioniere dei giochi strategici multigiocatore, un titolo che permetteva di collaborare come di competere. Si narra che negli anni successivi persino “The Sims” abbia tratto spunto dalle meccaniche di questo gioco.
Nello stesso periodo, Brenda Romero veniva assunta da Sir-Tech software per testare giochi e fornire supporto telefonico, prima di passare direttamente alle fasi di sviluppo. Il suo successo l’ha portata poi ad essere a capo della realizzazione dei giochi della serie “Tom Clancy’s Ghost Recon”, uno sparatutto pubblicato da Ubisoft. Non sempre, però, il successo dipende solo da stessi: “Ghost Recon Frontline” è stato cancellato nel 2022 ed è dal 2019, quindi, che i fan aspettano un nuovo capitolo della saga. La sola Brenda non poteva garantire però che il progetto sarebbe andato in porto.
Non sono mancate donne ancora più intraprendenti. Kim Swift, ad esempio, è stata una studentessa della DigiPen Intistute of Technology che ha prodotto praticamente da sola la prima versione di “Narbacular Drop”, un gioco d’avventura in prima persona che grazie a dei portali dimensionali permetteva l’esplorazione tra più pianeti e galassie. La Swift ha poi collaborato per il titolo “Portal”, che proponeva idee simili. Infine, non si può non citare Amy Robinson Sterling, che ha ideato e sviluppato “EyeWire”, un videogame finalizzato a spingere i giocatori alla collaborazione con i progetti scientifici, portandoli a imparare come realizzare dei collegamenti tra i neuroni della corteccia visiva, così da provare a fornire agli scienziati delle nuove soluzioni ai problemi del sistema visivo umano. Un’idea nobile e senza precedenti nella storia del gaming.

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